Settantacinque anni fa, in una stanza di Viterbo che profumava di gesso e passione, nasce una promessa: fare dell’arbitraggio non solo un ruolo, ma una scuola di carattere. Da allora, la Sezione è un campo d’allenamento per la mente prima ancora che per il fischietto: regole studiate a memoria, decisioni prese in mezzo al frastuono, errori trasformati in crescita. I nomi cambiano, i volti si alternano, ma la staffetta dei valori non si ferma: da Achilli a Carbonari, passando per Gasbarri fino a Mariani, ogni generazione aggiunge un anello alla catena, ogni Presidente una pagina al racconto. Qui si impara a stare diritti quando tutto trema, a parlare chiaro quando il cronometro corre, a dire “ho sbagliato” e poi far meglio.
La Sezione non è solo riunioni e designazioni: è una seconda casa. In corridoio girano storie di trasferte sotto la pioggia e di “prime volte” con le farfalle nello stomaco; nelle aule si accendono curiosità, si costruiscono amicizie, si suda al polo d’allenamento. E quando la vita chiede pegno, la comunità stringe i ranghi: i nomi di Ioncoli e Aspromonte non sono soltanto ricordi, sono stelle polari — ci dicono perché facciamo ciò che facciamo, ci ricordano che un gruppo è forte davvero quando sa fare spazio al silenzio, alla memoria, al rispetto.
Intanto il gioco cambia pelle. Arrivano il futsal, il movimento femminile, nuove tecnologie e nuovi sguardi: la Sezione apre porte, aggiorna linguaggi, accoglie ragazze e ragazzi che portano futuro nelle scarpe. Arrivano ospiti che hanno fischiato il mondo — Rizzoli, Rocchi, Orsato e altri — e ogni parola è un innesco: i più giovani li guardano come fari, gli esperti ci rivedono la scintilla degli inizi. Crescono i raduni, i premi, le giornate sul campo; crescono i risultati, ma non si perde il senso: arbitrare è una disciplina di testa e di cuore, un mestiere di secondi e di centimetri, un atto di coraggio in 90 minuti.
Oggi non ci fermiamo per contemplare: usiamo la storia come rincorsa. Questo libretto è una panchina su cui riprendere fiato, non il fischio finale. Le pagine raccontano cambi di sede e di generazioni, fotografie in bianco e nero che si colorano, riconoscimenti guadagnati con studio e sudore. Ma il messaggio è uno: domani si ricomincia. Perché ogni designazione è un patto, ogni divisa stirata è una promessa alla città, ogni “buon arbitraggio” è un invito a diventare un po’ migliori. Auguri, Viterbo: il passato ci onora, il presente ci unisce, il futuro ci aspetta sulla linea di metà campo — con il pallone che rotola e il coraggio puntato dritto all’orizzonte.